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Italian Poetry Read With Students

…Still it’s hard to deny the fact the poetry, along with other arts, goes if not through a crisis, but, I’d put it a bit in occultist terms, through some damnation of silence.
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(1) Patrizia Cavalli (1952)
Chi entra in un vagone…
Chi entra in un vagone dà prova di se stesso,
tralascia il corpo, esercita lo spirito,
mette a dormire i sensi, dorme davvero
o li devia in un libro, in un giornale
o fissa cieco un punto casuale
pur di non confondersi alla mischia.
Ma nella luce bianca
e cruda sono tutti uguali,
popoli perduti solo affidati
a ciò che una residua vista
potrebbe forse ancora intravedere
di quella strana sorprendente cosa
che un tempo, non tanto tempo fa,
era una faccia.
(2) Patrizia Cavalli (1952)
Poi d’improvviso…
Poi d’improvviso per garanzia animale
l’anima sempre torna sempre uguale.
Il cuore gonfio, di nuovo pronto
a sciogliersi e a mischiarsi, uscivo in cerca
del mio appuntamento tra la sicura
ricchezza delle piazze. In ogni faccia
vedevo una promessa, con tutte queste facce
forse qualcuna mi farà restare.
Basta, non compro più! Eccomi in vendita
assieme ai miei meravigliosi occhiali blu.
Infatti mi piacevano gli occhiali.
Sono più belle le donne con gli occhiali,
hanno al sole una generica bellezza
che fieramente espongono alla luce,
senza quella svagata debolezza
degli occhi che si oppongono alla luce
(lo sguardo non è fatto per le piazze
ma per le delicate intimità).
Quel nero degli occhiali sopra gli occhi
rende le facce quasi tutte uguali,
moltiplicati aspetti del possibile,
democrazia dei sensi, io sono qua.
(3) Fabio Scotto (1959)
LEGGI RILKE
Il viso incollato al vetro del treno

lui lo tieni negli occhi
finché l’inghiotte la calura dei binari
a Firenze Santa Maria Novella
Ora siedi
abbracciandoti i fianchi
in un lutto d’arti
istantaneo
eterno
L’umido d’occhi
medicato dal cleenex
sulle ciglia lunghe
quella lacrima bambina
già scesa e inafferrata
che ancòra non scorre
sul velo delle gote
sole
di taglio sui sandali
occhi immensi grigi
avidi d’aria
Leggi Rilke
nel pomeriggio che rimane
la mano nervosamente affondata
nel sacchetto delle patatine
Mangi in fretta
ferite
Mordicchi sulle dita affusolate
pellicine di dolore
Mostri i denti bianchi
dopo un sorso d’acqua
lo sguardo accarezza i fogli
annotati in tedesco
s’espande
s’arresta sospeso nel vuoto
L’aria non si muove
Domani l’esame
─ “Chiamerà dopo le nove?”
Non sentire la voce
Misuro annullata
la distanza delle labbra
Vorrei baciarti i piedi
con moltiplicate bocche
esserti seta fresca
farfalla sul pube
Già Milano Centrale
Il corpo stancamente verso l’uscita
da dietro
rallentando
poi più nulla
Nel metrò Annie Lennox canta
“How many times do I have to try to tell you…”
e “Why” è una corolla d’ombra
Ma scioperano le api
tutto scioglie il vento
come d’ali senza volo
ignote
Solo sapessi il nome
morirei peggio questa nuova morte
E ancelle nella saliva
di ghiaccio
devote
(4) Milo de Angelis (1951)
Milano era asfalto…
Milano era asfalto, asfalto liquefatto. Nel deserto
di un giardino avvenne la carezza, la penombra
addolcita che invase le foglie, ora senza giudizio,
spazio assoluto di una lacrima. Un istante
in equilibrio tra due nomi avanzò verso di noi,
si fece luminoso, si posò respirando sul petto,
sulla grande presenza sconosciuta. Morire fu quello
sbriciolarsi delle linee, noi lì e il gesto ovunque,
noi dispersi nelle supreme tensioni dell’estate,
noi tra le ossa e l’essenza della terra.
(5) Remo Fasani (1922)
Il fiume…
Il fiume… la mia infanzia n’era tutta
vinta. Veniva di lontano e andava
lontano. E mi affacciavo al suo mistero,
a quel suo mondo che mi rivelava
la vita accesa istante per istante.
Una bolla, e la seguo con il fiato
sospeso, vedo che si frange a un gorgo,
o ristà, prigioniera, dietro un sasso,
o si allontana e perde. Poi mi volto,
ne cerco e seguo un’altra, ancora un’altra.
Il fiume era le stagioni, l’anno.
In crescita e turbato da principio,
poi ricolmo, sospeso a cielo e nuvole,
poi fondo limpido a se stesso, agli altri,
infine vetro, anche senza gelo.
Ma più era le piene, le alluvioni.
Un giorno o due di furia… Poi la calma,
il ritorno alla norma e lo stupore
di non trovarla. Il fiume ora appariva
un altro, aveva dislocato tutto.
E qualche cosa andava dislocandosi,
ora, in chi lo guardava. E non soltanto
per lo sfacelo: per la trama tenera
su certe sabbie prima inesistenti.
La grazia ch’era al fondo della furia.

9 May 2011. – Moscow (Russia)